GENESI 25, 27-34; PROVERBI 23, 29-32; VANGELO Mt 7, 6-12
Esaù cacciava le bestie del campo con destrezza e con successo, fino a diventare un conquistatore che governava sui suoi vicini. Giacobbe era un uomo semplice, una persona a cui piacevano i veri piaceri del riposo più di tutti i finti piaceri. Egli fu uno straniero e un pellegrino in spirito e un pastore in tutta la sua vita. Isacco e Rebecca ebbero questi due figli, uno prediletto del padre e l’altro della madre: i genitori pii, però, pur amando maggiormente un figlio buono, non devono fare parzialità. Che il loro affetto li porti a fare ciò che è giusto e uguale ad ogni figlio o ne verranno dei mali.
Qui ci troviamo davanti all’accordo fatto tra Giacobbe e Esaù sul diritto di nascita: secondo Esaù frutto di carne, mentre per Giacobbe frutto della promessa. Qui vediamo il desiderio di Giacobbe per la primogenitura che cercò di ottenere dal fratello maggiore per vie traverse, contravvenendo alla sua natura di persona semplice. Per fede Giacobbe considerò queste cose mentre Esaù, essendo incredulo, le rifiutò. La minestra di Giacobbe piacque agli occhi di Esaù: “Dammi una parte di quelle lenticchie rosse”, per questo Esaù fu chiamato Edom o “il Rosso”. Quando il cuore dell’uomo va appresso ai suoi occhi, e quando serve solo i propri desideri, esso sicuramente si allontanerà dalla via che porta a Dio. Non accogliere la benedizione di Dio, cioè la propria vocazione è un pessimo affare come quello di chi ha venduto la sua primogenitura per un piatto di minestra. Esaù mangiò e bevve soddisfacendo il suo palato e il suo appetito e imprudentemente si alzò e andò per la sua strada senza il minimo pensiero o il minimo dispiace per il cattivo affare che fece. Esaù disdegnò così la sua primogenitura. Per la sua trascuratezza e il suo disprezzo e per giustificarsi di quello che egli aveva fatto, si mise a negoziare richiamando il passato. La gente si rovina, non tanto facendo quello che non è ammesso, ma, dopo avere agito, non pentendosi.