Meditazione 31 marzo 2020

GENESI 45, 2-20; PROVERBI 28, 2-6; VANGELO Gv 6, 63b-71

Il peccato è stato completamente riassorbito e dunque Giuseppe può finalmente manifestarsi. I fratelli possono finalmente riconoscerlo, perché avendo finalmente riconosciuto il padre si possono riconoscere come fratelli: questo ricrea la famiglia, la comunità. La reazione è prevedibile: i fratelli indietreggiano spaventati, ma Giuseppe li prega di avvicinarsi per fermare questa ritirata spontanea. Inizia il suo discorso tentando di rassicurarli, spiegando a sua volta quel che gli è successo, dandone a sua volta la sua lettura come i fratelli ormai hanno avuto il coraggio di fare la loro. È un momento in cui la commozione è al culmine, in cui la gioia si mischia all’incredulità e al terrore. Giuseppe, in tutta questa vicenda ha le lacrime agli occhi. I suoi pianti che durano a lungo risuonano in tutto la città! Giuseppe è l’uomo del dolore, che prelude alla nuova creazione. Le lacrime sono segno del dolore e della gioia. Sgorgano da colui a cui si fa del male o da colui dal quale riceviamo il bene.

I fratelli, accecati dall’odio non si rendevano conto di quello che stavano facendo. Sono le lacrime di Gesù dinanzi alla tomba di Lazzaro e dinanzi a Gerusalemme che non sa comprendere il tempo in cui era stata visitata da Dio e dal suo Messia. Si può piangere abbracciandosi per un dolore e una gioia. Si è feriti, vulnerabili, ma si è nella sicurezza dell’abbraccio. Il discorso di Giuseppe si articola in due parti: la prima nella quale egli rilegge il passato, la seconda è un messaggio per il padre Giacobbe e riguarda il futuro della sua famiglia. Giuseppe anzitutto invita i suoi a non affliggersi, a non cedere alla collera contro se stessi: della sua avventura ne parla come di un “invio” una missione datagli dal padre da portare a termine e che finalmente è giunta a compimento.  È il momento in cui Dio fa la sua ricomparsa, come attore principale di tutta questa storia. Giuseppe si fa testimone della presenza di Dio che non ha cessato di guidare la vita di tutti e dodici i fratelli. Mai la storia è solo opera umana, sia che l’uomo riesca nel suo essere immagine dell’Altissimo, sia che fallisca. Il grande orgoglio è proprio l’illusione di essere i soli conduttori della storia e delle storie. Dio, da Giuseppe, viene proclamato come colui che si inserisce nella storia degli uomini per cambiarla. Dio è Colui che trasforma la storia di peccato in storia di vita. “Dio che è Colui che mi ha mandato qui prima di voi, perché io potessi farvi vivere e se voi avevate pensato il male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire al bene per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso!” Il Dio della vita entra dentro la storia di peccato degli uomini per trasformarla. Il cammino della vita procede, ma ogni tanto bisogna fermarsi per capire questa frase del salmista: «La pietra che i costruttori hanno scartata, è diventata pietra angolare, è questa è l’opera meravigliosa del Signore». Ecco il compimento dei sogni di Giuseppe; il compimento dei sogni non è la prostrazione, ma è che finalmente Giuseppe entra nel suo ruolo di figlio e, da fratello, consente anche ai fratelli di entrare pienamente nella loro verità di fratelli e di figli capaci di lasciarsi amare come il padre vuole amare e come Dio vuole amarci. La via dell’amore passa anche attraverso il male che si subisce e che purtroppo si fa. Ma c’è ancora di più: il male che i fratelli hanno fatto si converte in bene. Il male alla fine rivela la sua inconsistenza. Se facciamo una lettura puramente umana, vengono in risalto tanti difetti, tante mancanze, tanto male, ma dal punto di vista dell’amore di Dio, che non ha forme prestabilite per rivelarsi, la storia narra il bene e insegna come leggerne i lati oscuri, le tragedie, il male. Giuseppe nella sapienza acquisita sa leggere la storia in questo modo. La storia è una continua pasqua dell’amore, di un nascosto ma reale rapporto divino-umano.