Per meditare
San Giuseppe ha riconosciuto un cuore di padre, capace di dare e generare vita nella quotidianità. A questo tendono le vocazioni: a generare e rigenerare vite ogni giorno. Il Signore desidera plasmare cuori di padri, cuori di madri: cuori aperti, capaci di grandi slanci, generosi nel donarsi, compassionevoli nel consolare le angosce e saldi per rafforzare le speranze. Di questo hanno bisogno il sacerdozio e la vita consacrata, oggi in modo particolare, in tempi segnati da fragilità e sofferenze dovute anche alla pandemia, che ha originato incertezze e paure circa il futuro e il senso stesso della vita.
San Giuseppe ci viene incontro con la sua mitezza, da Santo della porta accanto; al contempo la sua forte testimonianza può orientarci nel cammino. San Giuseppe ci suggerisce tre parole-chiave per la vocazione di ciascuno. La prima è sogno. Tutti nella vita sognano di realizzarsi. Ed è giusto nutrire grandi attese, aspettative alte che traguardi effimeri – come il successo, il denaro e il divertimento – non riescono ad appagare. In effetti, se chiedessimo alle persone di esprimere in una sola parola il sogno della vita, non sarebbe difficile immaginare la risposta: “amore”. È l’amore a dare senso alla vita, perché ne rivela il mistero. La vita, infatti, si ha solo se si dà, si possiede davvero solo se si dona pienamente. San Giuseppe ha molto da dirci in proposito, perché, attraverso i sogni che Dio gli ha ispirato, ha fatto della sua esistenza un dono. I Vangeli narrano quattro sogni (cfr Mt 1,20; 2,13.19.22). Erano chiamate divine, ma non furono facili da accogliere. Dopo ciascun sogno Giuseppe dovette cambiare i suoi piani e mettersi in gioco, sacrificando i propri progetti per assecondare quelli misteriosi di Dio. Egli si fidò fino in fondo. Al suo vigile “orecchio interiore” bastava un piccolo cenno per riconoscerne la voce. Ciò vale anche per le nostre chiamate: Dio non ama rivelarsi in modo spettacolare, forzando la nostra libertà. Egli ci trasmette i suoi progetti con mitezza; non ci folgora con visioni splendenti, ma si rivolge con delicatezza alla nostra interiorità, facendosi intimo a noi e parlandoci attraverso i nostri pensieri e i nostri sentimenti. In tutti questi stravolgimenti il coraggio di seguire la volontà di Dio si rivelò dunque vincente. Così accade nella vocazione: la chiamata divina spinge sempre a uscire, a donarsi, ad andare oltre. Non c’è fede senza rischio. Solo abbandonandosi fiduciosamente alla grazia, mettendo da parte i propri programmi e le proprie comodità, si dice davvero “sì” a Dio. E ogni “sì” porta frutto, perché aderisce a un disegno più grande, di cui scorgiamo solo dei particolari, ma che l’Artista divino conosce e porta avanti, per fare di ogni vita un capolavoro. In questo senso San Giuseppe rappresenta un’icona esemplare dell’accoglienza dei progetti di Dio. La sua è però un’accoglienza attiva: mai rinunciatario o arrendevole, egli «non è un uomo rassegnato passivamente. Il suo è un coraggioso e forte protagonismo» (Lett. ap. Patris corde, 4). Possa egli aiutare tutti, soprattutto i giovani in discernimento, a realizzare i sogni di Dio per loro; possa egli ispirare l’intraprendenza coraggiosa di dire “sì” al Signore, che sempre sorprende e mai delude! Una seconda parola segna l’itinerario di San Giuseppe e della vocazione: servizio. Dai Vangeli emerge come egli visse in tutto per gli altri e mai per sé stesso. Il Popolo santo di Dio lo chiama castissimo sposo, svelando con ciò la sua capacità di amare senza trattenere nulla per sé. Liberando l’amore da ogni possesso, si aprì infatti a un servizio ancora più fecondo: la sua cura amorevole ha attraversato le generazioni, la sua custodia premurosa lo ha reso patrono della Chiesa. È anche patrono della buona morte, lui che ha saputo incarnare il senso oblativo della vita. Il suo servizio e i suoi sacrifici sono stati possibili, però, solo perché sostenuti da un amore più grande: «Ogni vera vocazione nasce dal dono di sé, che è la maturazione del semplice sacrificio. Anche nel sacerdozio e nella vita consacrata viene chiesto questo tipo di maturità. Lì dove una vocazione, matrimoniale, celibataria o verginale, non giunge alla maturazione del dono di sé fermandosi solo alla logica del sacrificio, allora invece di farsi segno della bellezza e della gioia dell’amore rischia di esprimere infelicità, tristezza e frustrazione» (ibid., 7). Il servizio, espressione concreta del dono di sé, non fu per San Giuseppe solo un alto ideale, ma divenne regola di vita quotidiana. Non può dunque che essere modello per tutte le vocazioni, che a questo sono chiamate: a essere le mani operose del Padre per i suoi figli e le sue figlie. Mi piace pensare allora a San Giuseppe, custode di Gesù e della Chiesa, come custode delle vocazioni. Che bell’esempio di vita cristiana offriamo quando non inseguiamo ostinatamente le nostre ambizioni e non ci lasciamo paralizzare dalle nostre nostalgie, ma ci prendiamo cura di quello che il Signore, mediante la Chiesa, ci affida! Allora Dio riversa il suo Spirito, la sua creatività, su di noi; e opera meraviglie, come in Giuseppe (…).
(Messaggio di Papa Francesco
in occasione della 58° Fiornata di Preghiera per le Vocazioni)
Avvisi
– Oggi 25 aprile per tutto il giorno rimarrà aperto il sacrario in occasione della Festa della Liberazione.
– Lunedì 26 aprile alle ore 20.30 in Segreteria Parrocchiale si riunione la commissione liturgica.
– Mercoledì 28 aprile alle ore 20.30 celebreremo la Santa Messa con catechesi per adulti sul libro del Siracide.
– Giovedì 29 aprile alle ore 20.30 in sala riunioni dell’Oratorio si riunisce il CPP.