Lui Voce Lui Notizia

Pensiero del Don

1. Diventare Che uomo, che donna sto diventando? Diventare grande, diventare vecchio, diventare padre, madre, nonno, nonna, vedovo, solo. Diventare prete, marito, moglie. Diventare niente. Uno è quello che è, sono sempre quello, sempre le stesse cose. 2. Il Verbo di Dio è diventato uomo. Si celebra il Natale, ma diventare uomo non è un istante. Un lungo apprendistato ha insegnato a Gesù a vivere da uomo, in carne e ossa. Negli anni di Nazaret Gesù non ha fatto niente, non ha insegnato niente. Una cosa sola ha fatto: ha imparato a essere un uomo, il figlio del falegname, il figlio di Maria. Ha imparato i giorni e le notti, le feste e i lutti, le preghiere e i canti, le amicizie e le parentele. Il lavoro e il riposo. Ha imparato a diventare uomo. Gesù continua a imparare a diventare uomo nel suo viaggio fino a Gerusalemme, nella popolarità e nel discredito, nelle false accuse e nella dolorosa passione, fino all’incontro con l’ultimo nemico, la morte. Così commenta la lettera agli Ebrei: pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono (Eb 5,8-9). 3. Divenne causa di salvezza eterna per tutti. Gesù è diventato uomo, ha attraversato le stagioni e le situazioni dell’essere uomo e così, essendo Figlio, può insegnare ai fratelli e alle sorelle come si possa diventare figli, cioè essere salvati con una salvezza eterna. 1 Egli indica la via, perché infatti è la via: Gesù percorre la via della croce e diventa salvezza per tutti. Gesù dice: chi vuole diventare figlio, cammini come ho camminato io sulla via degli uomini. Ecco perché siamo convocati per celebrare la via crucis: per guardare Cristo sulla croce e tenendo fisso lo sguardo su di lui, imparare a diventare uomini e donne che si conformano a lui, l’uomo perfetto. Viviamo quindi il trascorrere del tempo non per diventare vecchi, ma per diventare conformi al Figlio, per obbedire a lui ed essere salvati. Diventare, imparare dalle cose che patì: i giorni passano anche se io non lo voglio, ma io divento diverso solo se lo voglio; le notizie invadono la mia mente e i miei occhi con una loro inarrestabile prepotenza, ma io imparo solo se concentro l’attenzione; i rapporti tra marito e moglie, tra fratelli, tra vicini di casa, tra parenti, possono diventare rapporti buoni solo se io mi rendo amabile e coltivo la stima delle persone che incontro, se mi impegno in spirito di servizio e con intenzione di edificare la comunità Diventare: questo fascino e fatica della libertà, questa sfida rivolta al tempo, questo concentrarsi sul modello, questo azzardo della fiducia, questo docile abbandono al vento dello Spirito che spinge al largo. Diventare, imparare tenendo fisso lo sguardo su Gesù: ecco l’uomo. Diventare come lui: capace di vivere come Gesù ha vissuto i rapporti di Nazaret e i rapporti di Gerusalemme, i rapporti intessuti lungo il mare e i rapporti drammatici vissuti sulla via della croce. Diventare come lui: imparare a pregare da lui, dicendo: “Padre!”. Imparare a soffrire come lui, senza desiderio di vendetta, ma con l’intimo desiderio del perdono. Avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù. Gesù ha imparato a essere uomo; chiama anche noi a seguirlo per imparare a essere figli di Dio.    

 (Mons. Mario Delpini omelia durante la Via Crucis 11 marzo 2022)

Avvisi della settimana

Questa settimana la Caritas invita a donare legumi per i più bisognosi.

In allegato il volantino della festa del papà.

Il decanato di Busto Arsizio in collaborazione con la Caritas Diocesana, sta organizzando il progetto per il sostegno dei profughi ucraini. Nei prossimi giorni riceveremo le indicazioni per poter partecipare attivamente all’iniziativa. Sarà richiesto l’aiuto non solo economico di tutti.

Lui Voce Lui Notizia

Avvisi

  • Prima domenica del mese. All’interno di Lui Voce Lui Notizia è inserita la busta per la raccolta straordinaria per i bisogni della parrocchia
  • Questa settimana la Caritas invita a donare della pasta per i più bisognosi.
  • Sempre all’interno di Lui Voce Lui Notizia trovate il  volantino con il programma della Quaresima

Pensiero del parroco

In questo giorno, che apre il tempo di Quaresima, il Signore ci dice: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 6,1). Può sorprendere, ma nel Vangelo di oggi la parola che ricorre più volte è ricompensa (cfr vv 1.2.5.16). Solitamente, al Mercoledì delle Ceneri la nostra attenzione si concentra sull’impegno richiesto dal cammino di fede, più che sul premio a cui esso va incontro. Eppure oggi il discorso di Gesù ritorna ogni volta su questo termine, ricompensa, che sembra essere la molla del nostro agire. C’è infatti in noi, nel nostro cuore, una sete, un desiderio di raggiungere una ricompensa, che ci attira e muove ciò che facciamo. Il Signore distingue però due tipi di ricompensa a cui può tendere la vita di una persona: da un lato c’è la ricompensa presso il Padre e dall’altro la ricompensa presso gli uomini. La prima è eterna, è quella vera, definitiva, è lo scopo del vivere. La seconda, invece, è transitoria, è un abbaglio a cui tendiamo quando l’ammirazione degli uomini e il successo mondano sono per noi la cosa più importante, la maggiore gratificazione. Ma è un’illusione: è come un miraggio che, una volta raggiunto, lascia a mani vuote. L’inquietudine e la scontentezza sono sempre dietro l’angolo per chi ha come orizzonte la mondanità, che seduce ma poi delude. Chi guarda alla ricompensa del mondo non trova mai pace e nemmeno sa promuovere la pace. Perché perde di vista il Padre e i fratelli. È un rischio che corriamo tutti, per questo Gesù ci avverte: «State attenti». È come se dicesse: “Avete la possibilità di godere un’infinita ricompensa, una ricompensa senza pari: badate perciò di non lasciarvi abbagliare dall’apparenza, inseguendo ricompense da quattro soldi, che vi muoiono in mano”. Il rito delle ceneri, che riceviamo sul capo, vuole sottrarci all’abbaglio di anteporre la ricompensa presso gli uomini alla ricompensa presso il Padre. Questo segno austero, che ci porta a riflettere sulla caducità della nostra condizione umana, è come una medicina dal sapore amaro ma efficace per curare la malattia dell’apparenza. È una malattia spirituale, che schiavizza la persona, portandola a diventare dipendente dall’ammirazione altrui. È una vera e propria “schiavitù degli occhi e della mente” (cfr Ef 6,6; Col 3,22), che induce a vivere all’insegna della vanagloria, per cui quel che conta non è la pulizia del cuore, ma l’ammirazione della gente; non lo sguardo di Dio su di noi, ma come ci guardano gli altri. E non si può vivere bene accontentandosi di questa ricompensa. E il guaio è che questa malattia dell’apparenza insidia anche gli ambiti più sacri. È su questo che Gesù insiste oggi: anche la preghiera, anche la carità, anche il digiuno possono diventare autoreferenziali. In ogni gesto, anche nel più bello, può nascondersi il tarlo dell’autocompiacimento. Allora il cuore non è completamente libero, perché non cerca l’amore per il Padre e per i fratelli, ma l’approvazione umana, l’applauso della gente, la propria gloria. E tutto può diventare una sorta di finzione nei confronti di Dio, di sé stessi e degli altri. Per questo la Parola di Dio ci invita a guardarci dentro, per vedere le nostre ipocrisie. Facciamo una diagnosi delle apparenze che ricerchiamo e proviamo a smascherarle. Ci farà bene. Le ceneri mettono in luce il nulla che si nasconde dietro l’affannosa ricerca delle ricompense mondane. Ci ricordano che la mondanità è come polvere, che viene portata via da un po’ di vento. Sorelle e fratelli, non siamo al mondo per inseguire il vento; il nostro cuore ha sete di eternità. La Quaresima è un tempo donatoci dal Signore per tornare a vivere, per essere curati interiormente e per camminare verso la Pasqua, verso ciò che non passa, verso la ricompensa presso il Padre. È un cammino di guarigione. Non per cambiare tutto dall’oggi al domani, ma per vivere ogni giorno con uno spirito nuovo, con uno stile diverso. A questo servono la preghiera, la carità e il digiuno: purificati dalle ceneri quaresimali, purificati dall’ipocrisia dell’apparenza, ritrovano tutta la loro forza e rigenerano un rapporto vivo con Dio, con i fratelli e con se stessi. La preghiera umile, fatta «nel segreto» (Mt 6,6), nel nascondimento della propria camera, diventa il segreto per far fiorire la vita all’esterno. È un dialogo caldo di affetto e di fiducia, che consola e apre il cuore. Soprattutto in questo tempo di Quaresima, preghiamo guardando il Crocifisso: lasciamoci invadere dalla commovente tenerezza di Dio e mettiamo nelle sue ferite le ferite nostre e le ferite del mondo. Non lasciamoci prendere dalla fretta, stiamo in silenzio davanti a Lui. Riscopriamo l’essenzialità feconda del dialogo intimo con il Signore. Perché Dio non gradisce le cose appariscenti; invece ama lasciarsi trovare nel segreto. È “la segretezza dell’amore”, lontana da ogni ostentazione e da toni eclatanti. Se la preghiera è vera, non può che tradursi in carità. E la carità ci libera dalla schiavitù peggiore, quella da noi stessi. La carità quaresimale, purificata dalle ceneri, ci riporta all’essenziale, all’intima gioia che c’è nel donare. L’elemosina, fatta lontano dai riflettori, dà pace e speranza al cuore. Ci svela la bellezza del dare che diventa un ricevere e così permette di scoprire un segreto prezioso: donare fa gioire il cuore più che ricevere (cfr At 20,35). Infine, il digiuno. Esso non è una dieta, anzi ci libera dall’autoreferenzialità della ricerca ossessiva del benessere fisico, per aiutarci a tenere in forma non il corpo, ma lo spirito. Il digiuno ci riporta a dare il giusto valore alle cose. In modo concreto, ci ricorda che la vita non va sottomessa alla scena passeggera di questo mondo. E il digiuno non va ristretto solo al cibo: specialmente in Quaresima si deve digiunare da ciò che ci dà una certa dipendenza. Ognuno ci pensi, per fare un digiuno che incida veramente sulla sua vita concreta. Ma se la preghiera, la carità e il digiuno devono maturare nel segreto, non sono segreti i loro effetti. Preghiera, carità e digiuno non sono medicine solo per noi, ma per tutti, perché possono cambiare la storia. Prima di tutto perché chi ne prova gli effetti, quasi senza accorgersene, li trasmette anche agli altri; e soprattutto perché la preghiera, la carità e il digiuno sono le vie principali che permettono a Dio di intervenire nella vita nostra e del mondo. Sono le armi dello spirito, ed è con esse che, in questa giornata di preghiera e di digiuno per l’Ucraina, imploriamo da Dio quella pace che gli uomini da soli non riescono a raggiungere e a costruire. O Signore, Tu che vedi nel segreto e ci ricompensi al di là di ogni nostra attesa, ascolta la preghiera di quanti confidano in Te, soprattutto dei più umili, dei più provati, di coloro che soffrono e fuggono sotto il frastuono delle armi. Rimetti nei cuori la pace, ridona ai nostri giorni la tua pace. E così sia.

      (Omelia del Santo Padre, letta dal Cardinale Segretario di Stato)

LUI VOCE LUI NOTIZIA

Avvisi della settimana

  • Giovedì 24 alle ore 20.45 si riunisce la commissione progetto Pastorele Parrocchiale
  • Domenica 27 dalle ore 15.00 festeggeremo il  Carnevale in oratorio. Vedi volantino.
  • Entro il 25 di febbraio preadolescenti, adolescenti e 18/19enni che desiderano possono iscriversi alla vacanza in montagna, che si terrà dal 23 al 30 luglio.

Pensiero del don

“Il mondo è campione nel fare la guerra e questo è una vergogna per tutti”. Così si è espresso il Papa ricevendo in udienza i partecipanti alla plenaria della Congregazione per le Chiese Orientali. “Siamo attaccati alle guerre e questo è tragico”, ha affermato il Pontefice ricordando che “in questo momento ci sono tante guerre dappertutto e l’appello” alla pace lanciato dal Papa ma anche “dagli uomini e dalle donne di buona volontà è inascoltato”.

Benedetto XV “denunciò l’inciviltà della guerra quale inutile strage”, ma “il suo monito rimase inascoltato dai capi delle nazioni impegnate nel primo conflitto mondiale. Come inascoltato è stato l’appello di San Giovanni Paolo II per scongiurare il conflitto in Iraq” ha riflettuto papa Francesco, e ricordando, a cento anni dalla sua morte, la figura del Pontefice che è stato il fondatore della citata Congregazione.

“Come in questo momento, che ci sono tante guerre dappertutto, questo appello è inascoltato”, ha proseguito a braccio: “Sembra che il premio più grande per la pace dovrebbero darlo alle guerre. È una contraddizione. Siamo attaccati alle guerre. L’umanità va avanti nelle scienze, in tante cose belle, ma va indietro nel fare la pace: è campione nel fare la guerra, e questo è una vergogna per tutti, dobbiamo pregare per questo”.

“Abbiamo sperato che non ci sarebbe stato bisogno di ripetere parole simili nel terzo millennio”, ha affermato Francesco a proposito delle parole di Benedetto XV: “eppure l’umanità sembra ancora brancolare nelle tenebre. Abbiamo assistito alle stragi dei conflitti in Medio Oriente, in Siria e Iraq, a quelle nella regione etiopica del Tigrai”, l’elenco stilato dal Papa: “e venti minacciosi soffiano ancora nelle steppe dell’Europa Orientale, accendendo le micce e i fuochi delle armi e lasciando gelidi i cuori dei poveri e degli innocenti. Questi non contano. E intanto continua il dramma del Libano, che ormai lascia tante persone senza pane; giovani e adulti hanno perso la speranza e lasciano quelle terre. Eppure esse sono la madre-patria delle Chiese Cattoliche Orientali: là si sono sviluppate custodendo tradizioni millenarie, e molti di voi, Membri del Dicastero, ne siete i figli e gli eredi”.

“Riflettete sulla vostra gravissima responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini”, l’appello del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, per scongiurare i venti di guerra: “Il Signore possa ispirarvi decisioni sagge per l’umanità. Nulla è perduto con la pace, tutto è perduto con la guerra”.

(Papa Francesco, discorso alla congregazione per le chiese orientali)

Lui Voce, Lui Notizia

Avvisi

  • Martedi 15 febbraio 2022: Ore 18:30 incontro catechiste dell’iniziazione cristiana. Ore 20:45 si riunisce il gruppo culturale
  • Venerdì 18 febbraio 2022: Ore 21:00 catechismo adolescenti e 18/19enni

Pensiero del parroco

Il signor Luigi.

 Il signor Luigi da quando sua moglie si è ammalata gravemente e soffre e stenta a riconoscere le persone care e ha bisogno di aiuto per tutto è arrabbiato con Dio e non va più in chiesa, neanche la domenica. Di questo non parla con nessuno, fa quello che deve fare, non si lamenta, non chiede aiuto, sopporta tutto. Ma dentro è arrabbiato con Dio. Non sa capacitarsi come sia possibile che la sua Rosetta, così buona, così mite, così devota possa essere colpita così duramente. Il signor Luigi coltiva un profondo risentimento: è convinto di subire una ingiustizia, un castigo che non ha meritato.

La signora Marina

La signora Marina, da quando la figlia si è ammalata gravemente e va avanti e indietro dagli ospedali e tenta tutte le cure senza trarne alcun miglioramento è tornata ad andare in chiesa, a pregare un po’ ogni giorno. Non era mai stata molto devota, in chiesa a Natale qualche volta. Ma adesso che vede la figlia malata e angosciata continua a pregare. Anche quando è a casa si fa aiutare dalla radio e dalla televisione per dire il rosario. “Perché preghi Maria?” le dice la vicina di casa. “Mia figlia è malata, io non so che cosa fare. I medici non sanno che cosa dire. I suoi figli non sanno che cosa pensare. Che cos’altro posso fare? Io prego. Ho imparato a fidarmi di Dio: Lui ci aiuterà”.

Il giovane Giorgio.

 Giorgio è sempre stato un ragazzo irrequieto, pieno di energia e confusione, voleva fare tutto e spesso non combinava niente. Sportivo e aggressivo. Va all’università più per fare amicizia e per farsi ammirare dalle ragazze che per studiare. Eppure riesce bene anche negli esami. A casa sembra muto, in compagnia sembra incontenibile. Lo dicono tutti: è simpatico, è pieno di vita, chi sa che cosa combinerà?  Quando Giorgio si è ammalato e doveva passare più tempo in ospedale che a casa, sembrava che il mondo crollasse e che la disperazione lo trascinasse nell’abisso. Invece Giorgio ammalato si è accorto di essere vivo; Giorgio costretto a stare solo in camera ha scoperto che la sua solitudine è abitata da Dio e ha imparato a pregare; Giorgio tentato di essere infelice, si è accorto di essere capace di seminare gioia anche in ospedale. Nella giornata dell’ammalato, noi non pensiamo agli ammalati, ma al signor Luigi, alla signora Marina, al giovane Giorgio. Pensiamo alle persone che conosciamo, una per una, ciascuno con il suo volto, la sua storia, le sue domande, i drammi e le rivelazioni. E contempliamo insieme con Maria l’opera di Dio: di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono … si è ricordato dalla sua misericordia come aveva promesso ai nostri padri. L’opera di Dio è misericordia: cioè presenza amorevole per chi lo invoca e anche per chi non lo invoca, per chi lo conosce e per chi non vuole conoscerlo. Dio è misericordia: potenza che salva condividendo la sofferenza di chi soffre, la notte angosciosa della prova, la tenace fedeltà nell’amore. Nella malattia alcuni vivono un sentimento di ingiustizia, come se una potenza misteriosa e cieca volesse punirli, altri sperimentano la vicinanza misericordiosa di Dio che vuole salvarli. Coloro che si lasciano raggiungere dalla misericordia di Dio possono essere trasfigurati, secondo la parola del Vangelo: siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso (Lc 6,36: cfr Messaggio del Santo Padre Francesco per la XXX Giornata Mondiale del malato). La misericordia di Dio non è solo un farsi vicino di Gesù, manifestazione perfetta della misericordia del Padre, che incontra i malati e li guarisce. Gesù si fa vicino e dona lo Spirito e ogni figlio di Dio riceve la grazia di vivere come il Figlio di Dio, Gesù. La misericordia rende misericordiosi, l’amore rende capaci di amare. La giornata del malato è giornata di preghiera perché ci sia sollievo per chi soffre; è giornata di grazia perché in ogni condizione, sani o malati, anziani o giovani, poveri e ricchi, tutti accolgano l’amore che rende capaci di amare, di essere misericordiosi come il Padre celeste è misericordioso.

      (omelia dell’arcivescovo in occasione della Giornata Mondiale del Malato)

Lui voce, Lui notizia

Pensiero del don

Ho un grande desiderio di dire a tutti i consacrati e le consacrate la parola più necessaria in questo tempo. Ho pensato a lungo quale sia questa parola più necessaria. Ho raccolto tante parole e mi sono domandato: ma quale è la parola più necessaria? Ho pensato: la parola più necessaria è “grazie!” Sì, tutti dobbiamo dire un grazie dal profondo del cuore considerando la vita consacrata, il suo fiorire nella Chiesa, il bene compiuto, l’aiuto offerto a tante necessità dell’umanità. Milano non sarebbe quella che è se non ci fossero state centinaia di persone e di comunità di vita consacrata. Sì, tutti dobbiamo dire un immenso grazie, soprattutto in questo tempo in cui si usa criticare tutto e denunciare con asprezza e si dimentica, si censura riconoscere il bene immenso che tutta questa terra ha ricevuto dai consacrati e dalle consacrate. Bisogna dire “grazie!” Eppure non mi sembra la parola più necessaria, anche se fa piacere sentirsi ringraziare e riconosciuti per il bene compiuto sembra un po’ consolatoria e persino imbarazzante. “Abbiamo fatto solo quello che dovevamo fare! Perché ci vuole mettere sul piedestallo?”. Ho pensato: la parola più necessaria è “coraggio!”. In effetti abbiamo bisogno di farci coraggio. Anche nelle comunità di vita consacrata avverto il grigiore dello scontento, l’apprensione per il
futuro, l’insistenza incorreggibile a considerare l’età dei consacrati e delle consacrate, la riduzione fino alla scomparsa di novizi e novizie, il peso delle strutture sproporzionate alla risorse. La lingua continua a battere dove il dente duole. Invece si deve dire: “coraggio!”. Guardate i segni promettenti, gli spiragli di futuro che si colgono qua e là con forme nuove di vita consacrata, con presenze inedite di giovani che vengono da altre chiese e da altre terre. Coraggio! Considerate la storia con i suoi alti e bassi e perseverate come sentinelle che spiano la nuova alba. Coraggio! Apprezzate la vostra vocazione e irradiate la gioia di essere consacrati e consacrate: il
Signore non vi ha deluso, non vi deluderà. Coraggio! Eppure non mi sembra la parola più necessaria. Anzi, forse si avverte l’incoraggiamento come una espressione retorica, una forma di benevolenza di maniera che nasconde un certo compatimento e che genera una certa insofferenza: “Fa presto il vescovo a dire parole di incoraggiamento. In realtà bisogna essere realisti e riconoscere il nostro inarrestabile declino. Ho pensato: la parola più necessario è “riforma!”. In effetti si avverte che alcune forme e alcune pratiche di
vita nelle comunità e negli istituti risultano anacronistiche. È necessario riformare il linguaggio per farsi capire dai ragazzi e dalle ragazze di oggi. È necessario riformare l’organizzazione delle comunità dove è necessario accorpare comunità, unire province, gestire con lungimiranza le risorse e le strutture per favorire la continuazione del
carisma anche in assenza della comunità dell’Istituto di vita consacrata. È necessario riformare la vita delle comunità se la molteplicità degli impegni e dei servizi impedisce l’evidenza delle priorità della vita consacrata, e cioè la vita di preghiera e la vita di
comunità. Riforma! Sono necessarie riforme. Eppure non mi sembra questa
la parola più necessario. Certo, quindi, si deve continuare con  fiducia e coraggio il cammino di riforma, ma questo è ben compreso e generalmente ben praticato. Non è questa la parola più necessaria che il vescovo deve dire oggi. Il vescovo quindi riconosce di non saper trovare la parola più necessaria per la vita consacrata. Ma la celebrazione della festa della Presentazione al tempio, che in oriente di chiama festa dell’incontro supplisce all’incapacità del vescovo. La festa che celebriamo infatti rivela che l’unico necessario è Gesù,
incontrare lui, riconoscere in lui la luce, la vita, la gloria, la salvezza. Ma solo Gesù è necessario, solo lui è la roccia su cui costruire la vita, la comunità, la missione, la consacrazione. La testimonianza di Simeone rivela che se incontriamo Gesù tutto diventa
luce, tutto trova il suo compimento e tutto si rivela relativo: vivere, morire, poter fare molto, non poter fare niente, essere giovani, essere vecchi, essere pochi, essere tanti. Uniti a lui affronteremo il tempo presente e il tempo futuro, i giorni di tempesta e di apprensione e i giorni di pace e di letizia, i contesti favorevoli e quelli ostili. Con Gesù. Cerchiamo Gesù, viviamo per lui, dimoriamo in lui, troviamo in lui quella parola che orienta il cammino, quella
vocazione che decide la sequela, quella rivelazione che risponde e converte le domande e le attese di ogni uomo e di ogni donna. L’unico necessario è Gesù, ieri, oggi e sempre.

(Mons. Mario Delpini,  Festa della Presentazione del Signore)

AVVISI

  • Oggi, domenica 6 febbraio, riapriamo l’oratorio e riprendiamo anche il percorso di catechismo dell’iniziazione cristiana in presenza.
  • Giovedì 10 Febbraio durante la S. Messa delle ore 8.30 commemoreremo le vittime delle foibe. Alle 9.30 presso il monumento in via Giuliani e Dalmati ci sarà il ricordo anche con le autorità civili.
  • Giovedì 10 Febbraio alle ore 21.00, presso la segreteria parrocchiale si
    riunisce la commissione liturgica.
  • Venerdì 11 Febbraio, memoria della Beata Vergine di Lourdes, durante la S. Messa delle ore 8.30 pregheremo per tutti gli ammalati.
  • Venerdì 11 Febbraio alle ore 21.00 incontro di catechesi per i 18/19enni
  • Giovedì 3 febbraio, festa di S. Biagio, come da tradizione benediremo i pani e invocheremo il dono della salute.