Meditazione 1 aprile 2020

GENESI 49, 1-28; PROVERBI 30, 1a. 2-9; VANGELO Lc 18, 31-34

Tutti i figli di Giacobbe erano in vita. La loro chiamata a raccolta fu un comando perché dovevano unirsi tra di loro e non mescolarsi agli egiziani. Giacobbe predisse loro di non separarsi come pure fecero i figli di Abramo e di Isacco ma dovevano formare un solo popolo. Non dobbiamo considerare questo come l’espressione di sensazioni prive di affetto, di risentimento o di parzialità, ma come la lingua dello Spirito Santo che dichiara lo scopo di Dio sulle persone, sulle circostanze e sulla situazione delle tribù che discendevano dai figli di Giacobbe.

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Meditazione 31 marzo 2020

GENESI 45, 2-20; PROVERBI 28, 2-6; VANGELO Gv 6, 63b-71

Il peccato è stato completamente riassorbito e dunque Giuseppe può finalmente manifestarsi. I fratelli possono finalmente riconoscerlo, perché avendo finalmente riconosciuto il padre si possono riconoscere come fratelli: questo ricrea la famiglia, la comunità. La reazione è prevedibile: i fratelli indietreggiano spaventati, ma Giuseppe li prega di avvicinarsi per fermare questa ritirata spontanea. Inizia il suo discorso tentando di rassicurarli, spiegando a sua volta quel che gli è successo, dandone a sua volta la sua lettura come i fratelli ormai hanno avuto il coraggio di fare la loro. È un momento in cui la commozione è al culmine, in cui la gioia si mischia all’incredulità e al terrore. Giuseppe, in tutta questa vicenda ha le lacrime agli occhi. I suoi pianti che durano a lungo risuonano in tutto la città! Giuseppe è l’uomo del dolore, che prelude alla nuova creazione. Le lacrime sono segno del dolore e della gioia. Sgorgano da colui a cui si fa del male o da colui dal quale riceviamo il bene.

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Meditazione 30 marzo 2020

GENESI 37, 2a-b; 39, 1-6b; PROVERBI 27, 23-27b; VANGELO Mc 8, 27-33

Il disegno di Dio agisce attraverso le vicende di uomini concreti e che questo non si concretizza quasi mai in un cammino lineare, ma una strada di costante sorpresa. Giuseppe spogliato della sua libertà e della propria dignità è condotto in Egitto in qualità di schiavo. Su un orizzonte spersonalizzato la persona diventa un puro oggetto. Egli assume i tratti della vittima che, puramente passiva, non fa altro che subire quello che gli altri gli infliggono. Viene venduto ad un notabile egiziano Potifar comandante delle guardie di Faraone. Questi ben presto sa individuare le qualità di Giuseppe tanto che lo eleva o al rango di servitore personale e di maggiordomo della sua casa.

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